sabato 21 marzo 2015

Primo Capitolo



Il primo giorno di primavera è indimenticabile.
E non la data ufficiale dell'inizio della primavera, il 20 o il 21 di marzo. In quei giorni potrebbe piovere, siamo ancora troppo vicini al freddo di febbraio, le correnti fredde dal nord non hanno perso il loro vigore, il vento che soffia non è ancora carico di quel calore e di quel profumo di sole che farà sbocciare i fiori.
Il primo giorno di primavera è quel giorno in cui il sole splende nel cielo e per la prima volta dall'inizio dell'anno, riesce a riscaldare tutto ciò su cui si posa. La brezza che soffia è tiepida al punto da non intimorire le margherite nei prati, che si affacciano al di sopra dei fili d'erba, verdi e rigogliosi. Sembra che una strana pace si posi sulla città, il traffico è più leggero, perché le persone passeggiano più volentieri. Coppie di amiche camminano insieme chiacchierando, i cappotti aperti sul davanti, occhiali da sole sul naso. Una signora anziana cammina lentamente poggiandosi sul bastone da passeggio metallico, luminoso ai raggi del sole. Una coppia di giovani spinge una carrozzina, lei sta raccontando qualcosa al marito, che invece ha lo sguardo perso dentro, alla ricerca del figlio. Ogni tanto spinge una mano all'interno, sposta o accarezza qualcosa, sorride e torna ad ascoltare la moglie. Tutti camminano lentamente, rilassati, spensierati. Per un giorno, per quel primo giorno di primavera, possono mettere da parte i pensieri per fare spazio al sole, al primo caldo, all'aria profumata di un'estate che non è più così lontana.

Deborah sedeva al sole, sulla sedia di vimini in giardino, le gambe tirate su con i piedi che poggiavano sul cuscino a fiori blu, le ginocchia piegate di lato e su di esse un libro. Teneva la testa inclinata dalla stessa parte delle ginocchia, un gomito appoggiato sulla spalliera della sedie e la mano intenta ad arrotolare e srotolare una ciocca di capelli castani, liscissimi. Le sue labbra carnose si muovevano quasi impercettibilmente mentre proseguiva con la lettura, come se sussurrasse le parole che gli scorrevano davanti agli occhi. Indossava i suoi occhiali da vista con la montatura grande, e un paio di occhiali da sole poggiati sulla testa, utili solo a tenere indietro la frangia. Tra la sua schiena e il cuscino della sedie c'era il suo maglioncino nero, sbottonato e arrotolato in modo disordinato. Se l'era tolto poco prima, senza staccare gli occhi dalle pagine, e l'aveva ripiegato dietro la sua schiena, cercando di vincere il primo caldo che quel sole le stava donando. Le maniche della maglietta erano tirate sopra i gomiti e la pelle del braccio destro, sulla quale i raggi del sole battevano diretti, era leggermente arrossata. Ai piedi solo un paio di calzini bianchi, le scarpe verdi slacciate erano davanti alla sedia di vimini.

Gli ci volle qualche minuto per ricordarsi chi e cosa era, ché riemergere da sé stessi è tanto più difficile quanto più si è profondi.

Era Michela Murgia la sua compagna quel pomeriggio. Intorno a lei erano scomparsi il piccolo giardino di fronte alla porta di casa, la siepe verde che lo circondava, la pianta di limoni che proiettava la sua esile ombra poco più in là. Erano scomparsi i rumori delle persone che passeggiavano al di là della siepe, lo scricchiolio delle ruote di un passeggino sul marciapiede, le risate allegre di due ragazze, il fiato intenso di un uomo che fa jogging; tutto era scomparso per lasciare il posto al belare delle pecore nei campi verdi della Sardegna, al profumo forte del formaggio, al canto in dialetto delle signore anziane in chiesa, agli asinelli carichi di borse. al profumo del pane impastato a mano e appena sfornato, o dei dolci con la ricotta.
Deborah alzò lo sguardo dal suo libro e vide davanti a sé lo scintillio del mare. Calmo, si apriva di fronte ai suoi occhi, che si spalancarono meravigliati. Il sole faceva brillare la superficie che diventava brillante, come se tante lucciole si posassero sul pelo dell'acqua e poi scomparissero improvvisamente. Le onde si infrangevano calme sul bagnasciuga, scurendo la sabbia e scoprendo piccole conchiglie bianche.
Deborah sgranò gli occhi stupita, lasciò andare la ciocca di capelli che stava rigirando tra le dita e questa cominciò a muoversi cullata da un vento improvvisamente forte, carico di salsedine e di profumo di fiori. Abbassò le ginocchia tenendo le mani strette sui braccioli della sedia di vimini, e non appena poggiò i piedi a terra sentì la sabbia calda attraverso i calzini. Affondò le dita al suo interno e quando le riportò in superficie scoprì una piccola conchiglia bianca, appena sbeccata.
Deborah sorrise, completamente incredula. Continuò a guardasi intorno alla ricerca di qualcosa che la restituisse alla realtà, ma c'era solo lei, la sedia di vimini con il cuscino a fiori blu e il libro poggiato sulle ginocchia, le pagine aperte che si muovevano girate dal vento caldo. Su di esse si stavano posando piccoli granelli di sabbia, ma Deborah non li notò perché improvvisamente vide correre sulla spiaggia una bambina, che si stava dirigendo proprio verso di lei. Era accaldata, le guance rosse e i capelli raccolti in due trecce scure erano scompigliati e ciuffi ribelli sfuggivano all'acconciatura. Indossava una camicetta bianca leggera, a maniche corte, ed una gonnellina a quadri che arrivava fin sotto le ginocchia. Ai piedi un paio di sandali neri che affondavano nella sabbia ad ogni passo. Al petto teneva stretto un libro con la copertina scura.
Deborah la riconobbe quasi immediatamente. Era Maria Listru, che correva a casa di Tzia Bonaria dopo la scuola. Forse si era fermata a chiacchierare insieme all'amico Andrìa e per questo aveva fatto tardi. La osservò passarle davanti senza alzare lo sguardo, concentrata sulla sua corsa. Quando arrivò davanti alla sua sedia di vimini, Deborah alzò i piedi dalla sabbia, per farle posto e ripararsi dagli schizzi che la bambina sollevava correndo sul bagnasciuga.
Teneva gli occhi stretti per ripararsi dal sole, aveva la pelle d'oca sulle braccia a causa del vento, nonostante fosse molto caldo. Deborah sorrise, mentre guardava la bambina correre lontano, sempre più piccola, finché non scomparve.

Improvvisamente il vento sembrò portare con sé un odore più forte di quello del mare, Deborah impiegò un po' di tempo a riconoscerlo, ma poi capì che era odore di dopobarba. Si guardò intorno alla ricerca di un uomo che stesse camminando sulla sabbia, ma ciò che vide fu solo la siepe del suo giardino e la pianta di limoni. Sedeva sempre sulla sedia di vimini, il libro sulle ginocchia aperto a metà, ma adesso leggeri brividi facevano accapponare la sua pelle dato che il sole non batteva più su di essa e si trovava sotto l'ombra proiettata dalla casa.
«Deborah! Mi senti?»
Era Marco, appena tornato dal lavoro. Quindi doveva essere già pomeriggio inoltrato, ma a Deborah succedeva sempre così quando leggeva: il tempo passava veloce, i secondi e i minuti le passavano intorno sfiorandola, ma senza toccarla davvero. Gli occhi non vedevano il sole muoversi e dirigersi verso il tramonto, la pelle non sentiva la temperatura abbassarsi, le orecchie non sentivano i rumori di una città di persone che tornavano dal lavoro.
«Da quanto sei tornato?» chiese Deborah, voltandosi indietro senza scendere dalla sedie per paura che, abbassando le ginocchia avrebbe perso improvvisamente il calore del sole di quel pomeriggio. Marco indossava dei pantaloni di stoffa marrone chiaro e scarpe da ginnastica blu. Non era mai stato molto capace ad abbinare i colori. Sotto al maglione beige indossava una camicia bianca, il primo bottone aperto si intravedeva dal colletto. Il suo volto era stanco, ma i suoi occhi castani erano anche incuriositi e divertiti allo stesso tempo.
«Da poco, dieci minuti. Ero qui dietro di te da un po' ma tu non mi sentivi.»
«Scusami, l'ho fatto di nuovo eh?»
Marco sorrise amorevole. «Si, di nuovo.»

2 commenti:

  1. Bello! Brava <3
    Era da ieri sera che volevo leggerlo, ma non ne ho avuto il tempo! Facci leggere presto qualcos'altro...

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    1. Grazie mille! Si, dovrei continuare a breve... Non posso rinunciare a scrivere!!

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