sabato 28 marzo 2015

Secondo Capitolo



Deborah infilò la chiave nella porta e la girò con facilità, producendo un leggero 'clac'. Mentre apriva sentì il dolce tintinnare di un acchiappasogni che aveva appeso dietro la porta, un acchiappasogni azzurro e bianco, i cui ciondoli erano fatti di conchiglie e piume colorate; un ricordo di una vacanza in Grecia.
Quella mattina si era alzato di nuovo il vento, il cielo era grigio e prometteva pioggia, quindi Deborah indossava il suo cappotto nero lungo fin sotto i fianchi, con colletto tirato su cercando di ripararsi. Una volta entrata si chiuse la porta alle spalle e vagò con lo sguardo intorno, adattando la vista alla penombra che ancora vi aleggiava.
La sua libreria era il suo orgoglio, la sua più grande gioia, ma anche la sua più grande preoccupazione.
Posò lo sguardo sulle librerie che si aprivano davanti ai suoi occhi, disposte in tre lunghi corridoi che andavano dall'ingresso alla parte opposta del negozio. Prima di esse però, proprio davanti alla porta, aveva lasciato uno spazio vuoto che aveva riempito con cinque piccoli tavoli di legno chiaro, rotondi. Al centro di ogni tavolo c'era un vasetto di lillà e sulle sedie intorno ad essi, erano poggiati cuscini bianchi e viola. Alla sua destra c'era la scrivania con il registratore di cassa e alla sinistra, in fondo alla sala, un tavolino lungo su cui era poggiato un bollitore per il tè e un vassoio con un dolce al cioccolato.
Le vetrine del negozio si aprivano proprio ai due lati della porta d'ingesso. Erano cariche di libri, novità e classici disposti in bella mostra, poggiati su fogli di carta con su scritte tante citazioni tratte da quegli stessi romanzi.

Deborah posò la borsa sulla scrivania, accese le luci e il riscaldamento e senza togliersi il giubbotto prese il bollitore, lo riempì d'acqua e lo accese. Appoggiata al tavolo, nell'attesa che il bollitore scaldasse l'acqua, guardò attraverso il vetro delle vetrine. Il paese si stava animando sotto i suoi occhi. Davanti al suo negozio, dalla parte opposta della strada, c'era un'erboristeria. La proprietaria era Amalia, una signora sessantenne un po' in carne. Stava alzando le serrande e la salutò con la mano. Era una signora molto particolare, vestiva sempre accostando tanti colori e tante fantasie. Sulla testa portava cerchietti colorati, ai polsi braccialetti rumorosi e le unghie curatissime erano sempre smaltate di colori sgargianti. Accoglieva i clienti con un «Salve viandante!» e non aveva mai lasciato uscire nessuno a mani vuote. Deborah avrebbe voluto saperci fare come lei.

Proprio in quel momento passò davanti alla vetrina Saverio, zoppicando. Diceva a tutti di aver avuto un incidente sul lavoro da giovane, ma Deborah sapeva che tanti anni prima aveva tentato di uccidersi gettandosi dalla terrazza di casa sua. Non aveva raggiunto il suo scopo e si era ritrovato con una gamba rotta e mai più guarita e una forte botta alla testa. In paese le voci dicevano che da quell’incidente Saverio fosse diventato un po’ pazzo, e probabilmente era vero anche se Deborah pensava che in fondo gli fosse servito a raggiungere una certa pace mentale.

Difatti dal giorno della caduta, era completamente uscito dalla sua depressione. Era allegro, scherzoso, cordiale e chiacchierone. Viveva della pensione d’invalidità e nonostante avesse la strana abitudine di rovistare nei cassonetti in cerca di tesori da salvare, era una persone gentile che tutti rispettavano.
Deborah l’aveva conosciuto solo dopo aver aperto la sua libreria. Durante le prime settimane, lo vedeva passare davanti alla vetrina, sbirciare all’interno del negozio con le mani intorno agli occhi, stile cannocchiale, per poi dileguarsi non appena incrociava il suo sguardo. Indossava sempre un panciotto verde, un po’ liso e scolorito.
Un giorno Deborah si affacciò alla porta, chiedendogli di entrare. Saverio l’aveva guardata con uno sguardo diffidente, un’espressione seria che difficilmente si disegnava sul suo volto rugoso. Lei gli aveva offerto un tè verde alla menta: dolce all’inizio, ma con un retrogusto incredibilmente intenso e deciso.
Da quel giorno Saverio si fermava al negozio di Deborah quasi tutte le mattine e lei aveva scoperto che era un uomo buono, un po’ ingenuo, ma incredibilmente arguto. Beveva un tè, a volte sceglieva un libro e se lo faceva tenere da parte, per poi venire ad acquistarlo il giorno in cui riceveva la pensione.
Solo successivamente Deborah aveva scoperto la storia di Saverio, parlando con Amalia del negozio di fronte.
Quella mattina lui le fece un cenno con la mano per attirare la sua attenzione, tirò fuori un orologio dal taschino del panciotto e si mise ad indicarlo per farle capire che sarebbe passato più tardi. Deborah gli sorrise e fece un cenno d’assenso. Quella scena le sembrava un deja-vu.

Intanto la luce del bollitore si era spenta, ad indicare che l’acqua era calda. Prese due tazze verdi da un angolo del tavolino e poggiò al loro interno due bustine di tè al limone, amaro e dolce insieme, per iniziare bene la giornata. Poi versò l’acqua nelle tazze e si appoggiò nuovamente al tavolo, le braccia incrociate, guardando fuori dalla vetrina e aspettando il primo cliente della giornata.
C’era una mamma che stava accompagnando i figli a scuola. Le scuole elementari si trovavano a pochi minuti dalla libreria e Deborah vedeva passare molti bambini ogni mattina. Erano due gemelli, di sette o otto anni, indossavano entrambi una salopette rossa, con sotto una maglietta gialla, ben visibile dal cappottino aperto. La salopette fasciava stretta le due pance belle tonde dei bambini, e le loro guance sporgenti erano rosse di fatica per la corsa verso la scuola.
Dal lato opposto della strada una signora camminava trascinandosi dietro un carrellino con le ruote, diretta sicuramente a fare la spesa. Il suo volto era arcigno, imbronciato, con le labbra carnose sporgenti in una smorfia di disgusto e gli occhi pesantemente truccati di nero, stretti e fissi davanti a sé. Per ripararsi dal vento fresco della mattina, indossava un cappotto lungo fin quasi alle caviglie, rosso e ben stretto intorno al suo corpo grasso. I bottoni del cappotto erano a forma di grandi cuori rossi e neri. Dietro di lei, con sguardo fiero, trotterellava un gatto a strisce arancioni.
Deborah sentì l’acchiappasogni appeso alla sua porta tintinnare, segno che qualcuno stava entrando. Si sporse in avanti per vedere chi fosse e poi si appoggiò nuovamente indietro quando si accorse che era Maurizio, il suo miglior amico e da qualche tempo, il suo aiutante in libreria.
«Buongiorno Deb!»
«Buongiorno! Ho appena preparato il tè.»
«Anche per me?»
«Certo! Dopo la bella giornata di ieri, oggi è già tornato il freddo. Un tè ti scalderà prima di cominciare.»
Maurizio le sorrise e si mise a sedere ad uno dei tavolini tondi.
«Come stai cara?» le chiese, scrutando il suo volto.
«Insomma…»
«Me ne ero accorto! Hai il viso cupo…»
«No, è solo che non mi sento tanto bene. Mi sono svegliata con un forte mal di pancia…» disse guardando verso la sua tazza, la cui acqua si era ormai colorata di arancione chiaro.
«Oh oh.» disse Maurizio. «Hai di nuovo il ciclo?»
«Eh già.»
Deborah aveva chiamato Maurizio perché le desse una mano in negozio dal momento in cui col marito avevano deciso di avere un figlio. Voleva insegnargli come gestire la sua libreria in modo da avere qualcuno che lo sostituisse quando lei sarebbe rimasta incinta e magari i primi mesi dopo la nascita, quando non avrebbe avuto tanto tempo libero. Ma erano passati ormai cinque mesi, Maurizio aveva imparato quasi tutto, ma Deborah non era rimasta incinta.
Ogni mese, quando le tornava il ciclo, si scoraggiava. Ma poi pensava che non doveva preoccuparsi, che tante coppie avevano dovuto aspettare molto prima di riuscire ad avere un figlio, che non doveva essere impaziente. Per qualche giorno però aveva l’umore a terra.
Deborah e Maurizio rimasero in silenzio sorseggiando il tè. Davanti alla vetrina passarono due ragazzi di dodici o tredici anni. Uno di loro teneva in mano delle carte da gioco e le sfogliava camminando. Dietro di loro un signore distinto, alto e magro, dai lunghi baffi grigi e un cappello a cilindro dal quale spuntavano ispidi capelli bianchi.
Deborah pensò che quella mattina in paese c’erano un sacco di persone strane.

Finito il tè, prese le tazze e le portò in bagno. Dopo averle lavate, tornò da Maurizio:
«Allora, adesso puoi fare la resa dei libri. Mi raccomando, prendi le fatture vecchie e rendi solo ciò che abbiamo da più di tre mesi e che pensi non sarà venduto. Inscatola tutto e prepara una lista. Domani mattina starai solo un paio d’ore mentre io vado in città a portare la resa che hai preparato.»
Maurizio fece cenno di aver capito e si diresse verso il magazzino per prendere una scatola. In quel momento entrò una signora accompagnata dal tintinnare dell’acchiappasogni.
«Buongiorno signora!» le disse Deborah.
«Buongiorno! Avrei bisogno di un libro da regalare a mia figlia, che domani compie gli anni. Ne ha 12.»
«Come si chiama sua figlia?»
La signora la guardò un po’ perplessa e rispose incerta, «Alice…».
Deborah sorrise. «Lo sospettavo. Ho il libro che fa per lei.»

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